Poesie ritrovate
Sepolte in un vecchio
cassetto ho ritrovato tre poesie da me scritte molti anni fa a seguito
di forti emozioni: un faccia a faccia con un epitelioma, dal suono
ambiguamente musicale ma dall’orrendo significato (carcinoma alla
lingua); una visita al monumento ai partigiani a Cernobbio, durante una
mia sessione di esami in Alta Italia e l’eco della notizie che
arrivavano, nell’ottantanove dalla Cina. Non è compito mio giudicare del
loro valore forse il loro destino era finire nella carta straccia. Ma
lascio ai lettori giudicare.
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DINANZI AL
MONUMENTO AI CADUTI DELLA VALLE CANNODINA
A noi che vivemmo notti di gelo
A noi non chiedete
pietà.
A noi che fummo oppressi e irrisi
A noi non chiedete
pietà.
A noi che, vaganti, patimmo gli stenti
A noi non chiedete
pietà.
A noi che conoscemmo orrore e morte
A noi non chiedete
pietà.
A noi che fummo stanati dai latrati dei cani
A noi non chiedete
pietà.
A noi che vedemmo i villaggi incendiati
A noi non chiedete
pietà.
A noi che udimmo i gemiti dei seviziati
A noi non chiedete
pietà.
A noi che scendemmo dai monti
A noi che scendemmo nelle valli
A noi che nelle piazze innalzammo
Il rosso delle
camicie
Macchiate dal
sangue dei nostri compagni
A noi che vincemmo
Chiedete giustizia.
Verbania 30 giugno ‘86
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AD UNA RAGAZZA DI TIEN AN MEN
Non piangere, ragazza cinese,
per i tuoi compagni
stritolati dal ferro fraterno.
Non piangere per essi
Falciati col sorriso nel cuore
E le illusioni vivide come stelle.
Piangi per te, ragazza cinese,
che raccoglierai come foglie secche
calpestate ai tuoi piedi
i sogni della giovinezza.
Giorno dopo giorno li vedrai
Appassire fra le mani
E quella che era la tua ricchezza
Come povero cencio rimarrà.
Non piangere per i tuoi compagni
Che ora sono con gli eroi di Stalingrado
E i valorosi del Quinto Rejmento
E insieme credono e sognano.
Sognano quel mondo di gioia
Di fraternità, di amore per il quale
caddero fra le nevi, il sangue, le torture.
Essi non sanno stroncata la loro breve vita,
non sanno la loro inutile sorte.
Piangi per te, ragazza cinese,
che imparerai sulla tua pelle
com’è amaro il risveglio,
il destarsi dal lungo sonno
con i capelli grigi e tanto gelo in cuore,
orfana dei sogni della giovinezza
tradita e schiacciata dai signori
del Potere e dietro un drappo rosso
che credevi il colore della vita
scoprire solo il rosso del sangue
dei tuoi compagni che ha macchiato
le pietre delle speranze perdute.
Pesaro 5/7/89 |
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ALLA
NERA SIGNORA DELLA NOTTE
Sette come le piaghe di Maria
Sette aghi preparati per colpire.
Carne trafitta da lingue di fuoco
Inerme soffriva all’uomo in bianco
Ore sgranate da atroce tormento
Veglie popolate da orridi incubi.
Viscida colava la brodaglia sul viso
La gola rifiutava l’insopportabile dolore
…e la strega rideva oscena
offrendo cibo alla mia lingua rovente…
Aldilà dello schermo piombato
Volti familiari, incupiti dalla mia tortura.
Isolata come lebbrosa, unico conforto
Kierkegaard e Nietzsche al mio capezzale.
Una pausa, una parentesi, un tuffo
Nell’amico mare dal nome antico.
Poi di nuovo la notte, la lama
Che affonda, recide, scava, asporta.
Ma il male si è fermato, non è sprofondato
Nella gola inerme, fermato il suo cammino.
Riemergo dalla notte buia, ma il passo è lento,
curva la schiena, schiancato il braccio.
E ancora torture infinite, lampade impietose,
attimi eterni come la morte.
No, come la vita che è ancora mia
Che abbraccio, che bevo insaziabile.
A più tardi, assai più tardi, nera Signora della notte,
stringi vuote a te le ali funeste.
Catania dicembre 1984 |
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