Appunti  

 

 

Sulla crisi dello Stabile


 

Ancora una volta, i dipendenti del Teatro Stabile sono scesi in piazza a dimostrare la loro situazione, perché aspettano ancora, dal mese di aprile, di essere pagati.
Dato per scontato che le istituzioni preposte a ciò sono in grave difetto, vorrei fare un’altra ipotesi e domandarmi se, per caso, i motivi di questa grave crisi di una istituzione culturale più che quarantennale non abbia anche altre cause.
Da frequentatrice di teatri, non solo catanesi, ho notato, negli ultimi anni, un progressivo calo di spettatori allo Stabile e, di contro, un aumento degli stessi in altri teatri ( uno in particolare).
Il motivo? Semplice. Il cartellone. La scelta di presentare spettacoli che il pubblico tradizionale dello Stabile non ha gradito; spettacoli modesti o noiosi o spettacoli che in nome della cosiddetta “rivisitazione” hanno deluso il pubblico. Il quale, si badi bene, è l’altro elemento indispensabile dello spettacolo, diversamente da quello che qualche critico ritiene e cioè “è il pubblico che non capisce le novità”.
Questa moda di “rivisitare” i classici “ forse era di moda negli anni ’60 o ’70, ma ormai genera solo rifiuto da parte di chi, credendo di assistere ad uno Shakespeare” o ad un Sofocle, si trova davanti a tutta un’altra cosa.
In quanto a testi di autori moderni o contemporanei e e in questo caso mi riferisco al cartellone del Musco, sono stati presentati, salvo poche eccezioni, testi pretenziosi, noiosi, spesso infarciti soltanto di parolacce (lo trova pregevole Camilleri il testo di sua nipote?) o al limite della blasfemia (con buona pace di Testori).
Quante volte ho visto il pubblico di questi due teatri scappare letteralmente alla fine del primo atto o addirittura durante lo spettacolo!
Ogni teatro ha un suo pubblico e Catania offre una vasta gamma di teatri ad ognuno dei quali si rivolge offrendo quello che gradisce.
Torni lo Stabile, il glorioso Teatro esempio nei lontani anni di Mario Giusti di gestione e programmazione, alla sua tradizione e prenda esempio dai teatri privati che gestiscono oculatamente le risorse.