Gli anni del CUC
Questo non è un racconto: è una storia vera. La
storia di una Catania che fu, la Catania degli anni ’50, una storia che
ancora nessuno ha ricordato pur nelle numerose rievocazioni di quegli
anni fatti da chi, oggi, ha superato il confine dei settantenni e che
rimane nella memoria di pochi superstiti.
Dopo gli anni plumbei e soffocanti del fascismo, dopo le paure e i lutti
della guerra, dopo i faticosi e laceri anni dell’immediato dopoguerra,
Catania si svegliava e, memore delle sue numerose resurrezioni dopo
terremoti ed eruzioni, si rimboccava le maniche e reagiva, riprendeva a
vivere, a respirare l’aria di libertà e di rinnovamento.
Si rimuovevano le macerie, si ricostruivano i palazzi
distrutti, donne e uomini erano pronti a gettarsi dietro le spalle anni di
dittatura, fame e miseria e a lanciare il cuore verso il futuro. Ma non si
cancellavano solo le macerie materiali, le più facili perché più visibili
ad essere rimosse: Catania si ricordava di essere stata la città di Verga,
Brancati, Patti, Martoglio, De Roberto, una città culturalmente viva e
dall’università partivano iniziative che coinvolgevano i giovani e meno
giovani di tutta la città.
Era anche il periodo di profonde spaccature ideologiche soprattutto
nelle cattedre umanistiche dove imperavano professori di area cattolica (
un nome per tutti Carmelo Ottaviano) e tra gli studenti c’era un acceso
antagonismo fra i giovani della Federazione giovanile comunista e quella
della F.U.C.I. questi ultimi caratterizzati da una folta presenza
femminile, pressoché nulla in quella comunista.
Fra le varie iniziative del tempo – mi riferisco agli anni ’48-’49,
nacque il Centro Laico universitario, dalla vita brevissima. La
seduta inaugurale fu tenuta a Palazzo dei Chierici, nel comitato direttivo
erano presenti studenti comunisti, socialisti e genericamente liberali (
fra gli altri Totò Leone negli anni seguenti divenuto docente di
storia nella stessa Università e Otello Marilli personaggi di
spicco del sindacato comunista). Per la cronaca aggiungerò che il pubblico
era formato da soli maschi e un silenzio improvviso e stupefatto accolse
l’ingresso di una matricola di sesso femminile.
Ma l’iniziativa più stimolante e duratura è quella che voglio ricordare a
coloro che, in quegli anni erano ancora bambini o addirittura non erano
ancora nati: mi riferisco alla nascita del Centro
Universitario Cinematografico. Telefoni bianchi e imprese
“eroiche” erano state gli unici concorrenti dei film che il regime
fascista produceva ed imponeva nei cinema e pochissimi privilegiati,
riuniti attorno a Vittorio Mussolini avevano potuto visionare in
gran segreto qualche film americano e ascoltato qualche ritmo
“degenerato” com’era considerato il jazz. Tra i giovani anche fascisti
si favoleggiava dei mitici film hollywoodiani, dei film
dell’espressionismo tedesco o verismo francese o addirittura i film
sovietici. Erano vagheggiati, sognati, idealizzati ma bisognava
contentarsi di quello che passava il convento ( in quel caso la censura
fascista). Erano gli stessi giovani che leggevano avidamente la rivista
“Cinema” di cui era direttore lo stesso Vittorio Mussolini e cui
collaboravano nomi che sarebbero stati “numi tutelari” del cinema del
dopoguerra: Guido Aristarco, Mario Alicata, Giuseppe De Santis,
Antonello Trombadori: tutti poi regolarmente trasbordati nel P.C.I.
dopo aver proclamato di aver fatto da sempre la fronda dentro il fascismo.
Beh, sorvoliamo su questi trascorsi…
Poi arrivarono gli americani e con loro non solo chewing-gum e coca-cola,
jazz e bolgie-woogie ma anche “Ombre rosse” di Ford, i film di
Chaplin, Capra, i musical, Rita Hayworth, Veronica Lake, Lana Turner.
Certo, una ventata di aria libera diversa ma i veri cinofili vogliono ben
altro. Ed ecco nascere il C.U.C. per iniziativa di giovani
universitari, professori di liceo e universitari, avvocati. Ricorderò
qualche nome: tra i fondatori Manlio Bellomo,
di area liberale, Roberto Ricci
(ondivago fra destra e sinistra), Nicola Salnitro
(figlio del professore Carmelo morto in un Lager tedesco dov’era stato
deportato a seguito della delazione del suo preside). Non ricordo l’anno
esatto della fondazione che, comunque, si colloca fra il ’52 e il ’53
ed è quasi impossibile ricostruire i particolari giacché tutto il
materiale, verbali ed amministrazione tenuti dall’allora giovane
universitario Gustavo Cardaci, furono prestati ad una studentessa
che si è “dimenticata” di restituirli. Farò ricorso pertanto alla mia
memoria e a quella lucidissima e precisa del suddetto dottor Cardaci di
cui sono rimasta amica nel comune ricordo di quegli anni.
Dunque, il CUC: le proiezioni, dapprima per pochissimi cinofili si
tenevano nella Saletta Diana (c’è ancora qualcuno che la ricorda?),
venivano precedute da una introduzione e seguite da un dibattito sempre
vivacissimo e i principali competitori erano lo stesso Nicola Salnitro,
l’avvocato Marangolo, fine scrittore, Corrado Brancati, Vittorio
Frosoni e suo fratello. Il pubblico era molto eterogeneo e in
prevalenza maschile: in quegli anni le ragazze, tutte universitarie erano
una decina al massimo e tutte di sinistra mentre fra gli universitari
c’era il gruppo dei giovani comunisti: Nello La Mendola, Nino Lamicela
(il fratello era funzionario del PCI) Momi Agati, Peppe Sindoni,
Carmelo La Carrubba, Pippo Silvia. Il gruppo dei Fucini era
capeggiato da Enzo Auteri che morirà anni dopo vittima di una
tragica rapina, quello monarchico con Montagna. E di varie
aree politiche c’erano pure il professore Vito Librando, Il
professore Geraci, L’avvocato Sebastiano Aleo, i giovani
Albarosa, Gattullo, il pittore Pippo Giuffrida.
I film proiettati? Rigorosamente da cineteca: si scoprivano Eisenstein e
Pudovkin, Jean Vigo e Pabst, Renoir e Carnè.
Uno dei dibattiti più accesi fu, strano a dirsi, non su qualche film
“cult” ma su un delicato film inglese “Breve incontro” di David Lean e
vide su posizioni da duello Nicola Salnitro e Enzo Marangolo: l’uno
sosteneva che era un film melenso, sdolcinato “soltanto adatto alle
donne”; l’altro, viceversa, che era un film, intenso, drammatico, “non
adatto alle donne”. Perché ricordo questo dibattito? Perché mi smozzicavo
la lingua per non esplodere e gridare tutta la mia indignazione per questo
maschilismo ( ma, allora, questo termine non esisteva) ma se l’avessi
fatto altro che silenzio e stupore! Una ragazza prendere la parola, in
pubblico per zittire due luminari! Manco a pensarci.. Dovranno passare
almeno due decenni perché le donne potessero interloquire!
Ma, al di là di questo episodio, i dibattiti erano prevalentemente
ideologici: i giovani comunisti difendevano a spada tratta tutti quei film
che venivano dalla Russia ( come si
diceva
allora, semplificando, dell’Unione Sovietica) o comunque che avevano un
forte significato sociale. Così restammo estasiati dinanzi a “ ! Que
viva Mexico!”, ai primi piani di volti affetti da epilessia di “Ivan
il Terribile”, alla famosa carrozzella che precipita dalla scalinata di
Odessa (definita da Fantozzi, 30 anni dopo, una solenne boiata). Voglio, a
questo proposito, aprire una parentesi: l’estate scorsa sono stata,
durante una crociera sul Dnepr, ad Odessa, bellissima città tutta immersa
nel verde e, ricordando quel famoso film visto nella mia lontana gioventù,
mi sono precipitata
armata di macchina fotografica ad immortalare la mitica scalinata.
Che delusione! Vedere da vicino e dall’alto era come vedere una comune
scalinata sullo sfondo del mare con comuni cittadini che salivano e
scendevano, incuranti di quello che aveva rappresentato per milioni di
giovani quella famosa sequenza. E’ stato come se mi fosse disvelato un
sogno ma mi ha confermato la maestria, la magia di Eisenstein che, in una
breve sequenza, trasformava una scalinata bella ma comune in un mitico
monumento.
Ma andiamo avanti e riprendiamo il filo dei ricordi. Sull’altro fronte i
fucini, i monarchici e i crociani contestavano l’entusiasmo dei comunisti
tacciando quei film di propaganda bolscevica o di estetismo fine a sé
stesso e volavano i nomi di Croce, di Galvano della Volpe, di Guido
Aristarco. Poi, non so per quale motivo, la Saletta del Diana non fu più
disponibile e nel ’55 le proiezioni si spostarono per un breve periodo in
una saletta attigua alla tribuna del cinema Odeon messa
generosamente a disposizione dal comm. Serrano, proprietario del
cinema. E lì ebbi l’occasione di vedere uno dei peggiori film di
propaganda sovietica “Miciurin” dal nome di uno pseudo scienziato
russo. A distanza di decenni mi domando come potei entusiasmarmi dinanzi
ad una idiozia demagogica, ad un continuo sventolio di bandiere rosse, di
falce e martelli, di un tripudio di felici facce proletarie. Errori di
gioventù!
Nello stesso periodo e per sottolineare quanto fervore culturale ci fosse
a Catania e in particolare nella sua università ricorderò la pubblicazione
di un giornale “Università Oggi”. Nacque ad opera di quattro futuri
medici: Momi Agati, Carmelo La Carrubba , Peppe Sindoni e Pippo Silvia
e fu sostenuto e finanziato da due più importanti esponenti del PCI di
quegli anni, gli onorevoli Enzo Marrano e Franco Pezzino. Pur
avendo avuto vita brevissima, fu considerato uno dei migliori giornali
della gioventù comunista e continuato nell’esperienza più marcatamente
ideologica nel settimanale “Rinnovamento”.
Ritornando al CUC, dopo la breve parentesi della saletta dell’Odeon si
trasferì al cinema Corsaro continuando nella sua opera di far
conoscere film che non era immaginabile proiettare nei circuiti normali.
Ma ormai i film “cult” cominciavano a scarseggiare, spesso venivano
riproposti le solite “corazzate”, i soliti film messicani ma soprattutto i
giovani che l’avevano fondato erano cresciuti, qualcuno aveva messo su
famiglia, altri dovevano prepararsi alla laurea (ed erano già fuori
corso), altri iniziavano la loro carriera medica o forense. Già, perché ho
trascurato di ricordare che in quegli anni che per alcuni che li vissero
furono proprio ruggenti, nacquero anche amori, alcuni furono solo
brucianti fiammate, altri durarono più a lungo e qualcuno (indovinate
chi?) ha pure festeggiato le nozze d’oro, continuando il cammino iniziato
al CUC.
Una stagione si era definitivamente chiusa. In fondo, potrei dire che
la fine porta la data del 19 giugno 1956 quando in un’aula
dell’università fu presentato uno statuto ad opera degli studenti di
sinistra che suscitò una furibonda reazione negli altri studenti che, in
massa, abbandonarono l’assemblea e uscirono dal CUC. Esso durò ancora per
qualche anno e fra i suoi protagonisti spiccarono Gianpiero Mughini e
Nino Recupero ma ormai i suoi anni “ruggenti” erano definitivamente
chiusi e rimarranno nei ricordi di chi li identifica con la propria
giovinezza.
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