Appunti    

 

 

Tra fiume e storia

 


Mi mancava solo il Dnepr, tra i fiumi inclusi nelle crociere, ad essere da me navigato. A causa di mancata coincidenza aerea, avevo dovuto sempre rinunziare a quel fiume che restava però sempre nei miei desideri.
Finalmente quest’anno leggo nel catalogo della Giver che è stata prolungata la crociera fino ad Istambul e pertanto è possibile la coincidenza aerea.
In preda ad euforia, preparo la valigia a maggio inoltrato e via, a volo, verso città che, per un verso o altro hanno lasciato un segno nella storia: Istambul, Odessa, Yalta, Sebastopoli, Kiev.

 

Ero già stata a Istambul una decina di anni fa e l’avevo trovata straordinariamente bella, unica al mondo, sdraiata com’è tra due Continenti e con due volti completamente diversi come un Giano bifronte: la città europea, ricca di monumenti famosi, la Moschea Blu, S. Sofia e la città moderna asiatica. L’ho trovata come tutte le metropoli ormai soffocata da un traffico caotico, con code infinite di turisti davanti ai siti classici al punto da rinunziare a rivedere il Topkapi. Ma quello che mi ha colpito di più è stata la presenza del chador. Dieci anni fa, non avevo incontrato alcuna donna con velo, adesso ne vedevo molte, vecchie e giovani col capo velato. Non mi sembra un buon segno per un Paese che ambisce ad entrare in Europa.
Immancabile il giro di Istambul dy night, suggestivo certamente ma non si può paragonare a quello di Budapest che rimane, almeno per me, unico.


Due giorni dopo, partenza in pullman per l’imbarco sulla M/N russa dal nome impronunciabile dove arriviamo con un ritardo di quasi due ore per un inspiegabile arresto alla dogana turca al confine con la Bulgaria. A pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, tutti concludiamo che si trattava di “pizzo” richiesto e non pagato. Mah! Comunque, finalmente ci imbarchiamo e dopo l’immancabile offerta della ciambella intinta nel sale in segno di benvenuto ( usanza che ho trovato su tutte le navi russe), possiamo prendere possesso delle nostre cabine. Gli italiani eravamo in sei: una coppia di Como, una di Torino, un ex dirigente della Olivetti di Ivrea e la scrivente di Catania.
Questa sul Dnepr era la mia decima crociera fluviale ed ho navigato su motonavi austriache, egiziane, svizzere, cinesi, francesi e anche russe ma, credetemi, non mi era mai capitata una motonave in così pessime condizioni. Riassumo brevemente: cabina singola simile ad un loculo, assoluta mancanza delle kit da bagno, doccia consistente in un flessibile nel rubinetto del micro-lavabo e sospeso ad una parete e in un tappetino per cui dopo una doccia il pavimento era letteralmente allagato e si rischiava di scivolare; a bordo non c’era un negozietto con oggetti di prima necessità ma solo negozio di souvenir, peraltro piuttosto cari; un tanfo di fogna che appestava molte cabine; non c’era telefono a bordo per i passeggeri né l’uso di internet. Tralascio la modestia delle serate a bordo e la monotonia dei pasti ma debbo
sottolineare che nessuna delle cartoline già affrancate da me consegnate alla reception è arrivata a destinazione.
Questa la parte negativa della crociera. Ma ora parliamo del viaggio, un viaggio tra città storiche e paesaggi di una bellezza incomparabile.

Ed eccomi nella foce del Danubio! Torno per la terza volta su questo affascinante fiume, completando in tal modo la sua conoscenza. La giornata è stupenda, assolata ma fresca; il silenzio assoluto, anche i turisti tacciono ammirando il panorama, scattando foto a ripetizione. Il paesaggio muta ad ogni svolta del fiume, dalle rive gli alberi si protendono sulle acque, specchiandosi in esse. A cavalcioni sulla prua del battello, in scomoda posizione osservo ogni particolare quasi ad imprimerli nella memoria mentre mi sembra di ascoltare qualche valzer di Strauss filtrato dallo sciabordio del fiume. Tutte le gradazioni di verde fanno da quinta, alberi ed acque si fondono in uno scenario che comunica serenità e fa apparire inesistente la frenetica e chiassosa realtà dell’aldilà del fiume.
Poi, purtroppo, si ritorna sulla nave e navighiamo sul Mar Nero che di questo colore non ha proprio nulla ma che, col suo ondeggiare se non fa stare male ci fa camminare come ubriachi. Siamo in mare aperto, le rive non si vedono più ma scorgiamo branchi di delfini che per lungo tratto seguono la nave come aspettando di essere fotografati dai divertiti passeggeri.


Dopo un giorno e una notte di navigazione attracchiamo ad Odessa.
Odessa! La mitica scalinata. Torno indietro nel tempo, quando negli Anni ’50 arrivavano non solo i film americani ma anche quelli sovietici. Ricordo il Centro Cinematografico di Catania, la saletta del Diana, i cinofili in ammirazione di “A nous la libertè” “Zero de conduit” “Ivan il terribile” e, su tutti, “La corazzata Potemkin”, negli Anni ’80 sbeffeggiata da Paolo Villaggio che la definì “una boiata pazzesca”. Ma allora “al tempo delle illusioni, entusiasmava senza discussioni. Adesso me la vedo dall’alto e provo una certa delusione, non vedo nulla di diverso di altre scalinate e fra me e me commento che è proprio lontano il tempo delle illusioni e cerco invece di gustare la passeggiata per le vie di Odessa, città descritta da Isaac Babel ma oggi ormai svanita anch’essa nel tempo. Resta però una gran bella città immersa nel verde, pulita, con un traffico normale. La prossima sosta ci da la possibilità di assistere al cambio della guardia al Monumento ai Caduti della Seconda Guerra Mondiale. Quale città non ha un analogo monumento? Ma quello che ho visto ad Odessa non ha eguali e non per il monumento in se stesso ma per la cerimonia che vi si svolge ogni giorno, dall’alba al tramonto, per tutto l’anno, col sole e con la neve. Dunque, cercherò di descriverlo anche se le mie parole saranno inadeguate all’emozione che si prova. Un drappello di sei giovani delle scuole medie, tre maschi e tre femmine, in divisa con pantaloncini i maschi e gonna a pieghe le femmine, percorrono la lunga scalinata che si snoda dinanzi al monumento, a passo lento scandito da una musica quasi marcia funebre e, ogni quarto d’ora, danno il cambio ad altrettanti giovani che, smontando, ripercorrono a ritroso la stessa scalinata con la medesima musica. Osservando la cerimonia e la serietà e compostezza di quei ragazzi, riflettevo a quale profondo senso di identità nazionale, di grave rispetto per i Caduti, di orgoglio patrio davano esempio quei giovani ucraini mentre da noi il tricolore viene svillaneggiato, i monumenti ai Caduti di tutte le guerre imbrattate e trascurate e l’inno nazionale è quasi totalmente sconosciuto o malamente biascicato ai campionati di calcio.


Di sera, vado ad assistere al balletto “Il lago dei cigni” nello stupendo Teatro dell’Opera, forse il più bel teatro che abbia mai visto, con una facciata severa e maestosa, all’interno uno scalone di marmo favoloso, un’acustica perfetta. Due ore di vero godimento considerando anche che lo spettacolo è di alto livello e non certo spettacolo per turisti. L’indomani, mattinata libera e ne approfitto per tornare alla scalinata e vederla dal basso. Ecco, ora sì che è la “mitica” scalinata! Mi pare di vederla, quella carrozzina che precipita giù e che mi aveva
dato dei brividi in quei lontani anni. Poi passeggio lungo il porto, immenso e trafficatissimo e, alla fine, scopro una bellissima statua in bronzo dedicata ai naviganti: rappresenta una giovane madre con un figlio in braccio che tende la manina al padre lontano su una nave. Mi richiama in mente la famosa scena de “La terra trema” di Visconti con le donne sciallate di nero che, sul molo di Trezza, aspettano i loro cari.
 

Si riprende la navigazione lungo la penisola di Crimea e ne approfitto per osservare gli altri passeggeri. Noi italiani siamo – come sempre – in minoranza; ancora le crociere fluviali sono poco conosciute e comunque sono adatte ad un settore particolare: gente di una certa età che non cerca divertimenti rumorosi, casinò, discoteche, animazioni varie ma vuole una vacanza tranquilla riposante, che offra la possibilità di conoscere luoghi lontani dal turismo di massa, paesaggi naturalisti di affascinante bellezza. Di solito, i croceristi fluviali più numerosi, come in questa crociera sono tedeschi e austriaci, ma noto anche parecchi olandesi, alcuni inglesi e ad Odessa si è imbarcato un folto gruppo di croati. I tedeschi ci guardano con sfacciata ironia, sono come sempre vestiti malissimo, le donne sono corpulente e mascoline, alcune decisamente obese e tutti, maschi e femmine esibiscono impresentabili vene varicose. Gli olandesi sono più discreti e gentili; qualcuno mastica l’italiano e cerca la conversazione con garbo e interesse. I croati fanno gruppo a sé e mangiano addirittura in un altro ristorante a bordo.


Quando sbarchiamo a Yalta sembra di essere a Rimini. Il clima mite ha fatto di questa cittadina un centro turistico per eccellenza e solo i turisti stranieri vanno ad Yalta in cerca del luogo storico dove nel ’45 si decisero le sorti dell’Europa. Entrare in quel Palazzo è come essere proiettati dentro un pezzo di storia: ecco il tavolo dove si riunivano le tre delegazioni, qui sedeva Churchill, là sedeva Roosevelt e fra i due Stalin. Ecco la penna con cui fu firmato il Trattato; incorniciato osserviamo l’originale del documento; le foto alle pareti fanno rivivere quei giorni che avrebbero segnato il destino di tante popolazioni. Da quel Palazzo passiamo in quella che fu per quel periodo la residenza di Churchill e vediamo la sua poltrona, il tavolino con una bottiglia di vetro che conteneva il suo brandy preferito (quello armeno), la scatola dei sigari. E sempre foto, con Stalin che mostra un sorriso trionfante e Roosevelt che porta in viso i segni della morte che lo colpirà pochi mesi dopo.
Adesso, quella residenza che sorge su un’altura che domina dall’alto tutto il mare intorno ed è circondata da un magnifico parco, è un centro di produzione vinicola dato che il clima della Crime assi presta a tale produzione.
Ci fanno gustare ben dodici tipi di vini, quasi tutti da dessert e il padrone di casa, illustrando le doti di un vino che ricorda l’italiano “lacrima Christi”, invita gli ospiti a brindare ai turisti italiani presenti.


Sebastopoli! Altra città storica che ricorda a noi italiani il Risorgimento, Cavour, La guerra di Crimea, L’assedio della città. E’ una gran bella città, bianca e verde, un verde che ubriaca chi, come me, viene da una terra arida, riarsa dal sole, e nelle cui città il verde è proprio una rarità. A Sebastopoli così come ad Odessa e Yalta tutto è immerso in un mare di verde, i viali si snodano sotto le volte degli alberi e giardini e parchi circondano e segnano case e strade. Sebastopoli ci riserva una sorprendente emozione: durante la visita della città, la guida aveva spesso accennato all’ultima visita che avremmo fatto al Panorama, come qualcosa di impedibile per cui ero convinta che si trattasse di un punto panoramico da cui magari godere una vista particolare della città.
Percorriamo un lungo viale avvolto da alberi che danno una deliziosa frescura per giungere ad uno spiazzo con una bella fontana centrale a cui fa da sfondo un edificio bianco che appare come un tempio o un monastero. Cerco una qualche terrazza, un punto qualsiasi che sovrasti la città ma non ne scorgo alcuno. La biglietteria è immersa quasi nel buio, sempre più perplessa salgo la scala a chiocciola e, un cima, di colpo mi vedo proiettata in un campo di battaglia. Proprio così! L’assedio di Sebastopoli del 1856 è realizzato in diorama tutto intorno ad una struttura circolare ed è come se fossimo noi stessi proiettati indietro nel tempo. In primo piano, quasi ai nostri piedi, le retrovie del fronte, le vettovaglie, i carri, le vivandiere, i muli, le balle di paglia, le grosse palle da cannone; più oltre le barelle, i feriti, i preti ortodossi, una chiesetta e una moschea, i medici, i rincalzi per la prima linea; ancora più in là il vero campo di battaglia con i morti squarciati dall’esplosione, i corpo a corpo, anglo-francesi contro russi, cavalli imbizzarriti, il terrore che stravolge i volti dei combattenti; sul fondo, le navi delle flotte francesi ed inglesi che vomitano vampate di fuoco.
Man mano che percorriamo in circolo il “Panorama”, vediamo svolgersi la battaglia con l’arrivo dei rinforzi delle truppe russe, i loro comandanti in testa ma la sconfitta ormai è definitiva. Usciamo da questa sconvolgente esperienza in preda ad una profonda sensazione di dolore, di angoscia. E’ stato come toccare con mano quanto tragica sia qualunque guerra, quanto insensati siano gli uomini a provocarla. Ma Sebastopoli ci ricorda pure il nostro Risorgimento, la battaglia della Cernia dove morirono pochi piemontesi mentre migliaia furono falciati dal colera fra cui lo stesso generale La Marmora. E rifletto sulla figura del Cavour, il meno amato dagli italiani fra gli artefici del Risorgimento benché sia il più grande statista che abbia avuto l’Italia diversamente dal suo grande antagonista, Garibaldi, gran fegato ma meno politico eppure tuttora idolatrato.
Sebastopoli ha lasciato un segno indelebile completato dal bellissimo spettacolo di musiche canti e danze offertoci dal complesso della Marina militare ucraina.

Siamo finalmente entrati sul Dnepr dopo giorni di navigazione sul Mar Nero e relativi beccheggi. Ora si naviga lisci e tranquilli, il grande fiume si offre ai nostri sguardi ammirati. Il cielo non promette nulla di buono ma il fiume è tranquillo, non c’è traffico, il silenzio è assordante. Nel pomeriggio ci avviamo in battello verso un “villaggio dei pescatori”. Il cielo è ancora grigio e una leggera pioggerella annebbia ancor più i vetri del battello, già per conto loro molto sporchi. Siamo su un ramo laterale del fiume, il battello quasi sfiora talvolta le rive ma il senso di serenità che si prova navigando sui fiumi è indescrivibile. Sbarchiamo, non piove più ma il sentiero è fangoso e un po’ accidentato. La vegetazione è fitta e pochi minuti dopo lo sbarco eccoci in piena zona “shopping”. Naturalmente non lo “shopping” da Fiftw Avenue ma un mercatino alla buona: tovaglie, camicette ricamate, matrioske, presine da fuoco, grembiuli, cappelli di pelliccia, marmellate, vodka. Giungiamo al “villaggio”, un agri-turismo in miniatura, alla buona con tavolacci di legno, panche, tovaglie di carta e tanto bendiddio a disposizione. Siamo accolti dai padroni di casa, entrambi sui sessantenni, rosei e ben in carne, suono di fisarmoniche e tre ragazzette in costume nazionale. Nell’orto cavoli, verze, pomodori, carote, tanti tipi di verdure e tutt’intorno galline, pecore, cani, maiali. Assaggio un ottimo lardo che non ha nulla da invidiare a quello di Colonnata, dei dolci identici alle nostre “chiacchiere” di carnevale, e mi faccio tentare da un goccio di vodka che il padrone di casa mi offre con gentile insistenza. Strano! Non mi brucia alla gola e non mi va alla testa. Ne bevo un bicchierino e un altro ancora. Sempre più strano ma non ho nessuna delle reazioni che altre volte la vodka mi ha procurato.

Il giorno dopo è il giorno della “grande chiusa”, detta così per la sua profondità che la mette al primo posto delle chiuse almeno europee. Se le “porte di ferro” sul Danubio sono le più larghe e vi possono entrare fino a quattro navi fluviali, quella sul Dnepr è la più profonda e attraversare una chiusa è sempre uno spettacolo che richiama tutti i turisti che, armati di cineprese e macchine fotografiche affollano tutti i ponti delle navi. La chiusa appare da lontano, la giornata è limpida e la nave comincia a rallentare la sua marcia di avvicinamento. Pian piano entriamo nella chiusa, le pareti incombono scure attorno alla nave, la nave procede così lentamente da sembrare ferma ma scorgiamo il portellone chiuso avvicinarsi. Poi, la nave si ferma definitivamente ed ecco che lentissimamente, comincia a sollevarsi, a risalire. Contiamo i segnali che precisano l’altezza mentre ancora il cielo appare lontano. Quasi si trattiene il fiato. Ne ho viste moltissime di chiuse sul Danubio, sul Reno, sull’Elba, ma questa è veramente unica. Infine, si cominciano a vedere i prati circostanti e l’immancabile statua di Lenin che , sempre, inesorabile, indica col braccio sinistro questa volta ( ma in altre statue è il braccio destro) il sole dell’avvenire: quel sole che milioni di persone speravano di vivere e finirono massacrati in nome del comunismo-leninismo.
Basta, preferiamo girare la testa ed aspettare ed aspettare che si apra il portellone. Ecco, comincia ad aprirsi, il semaforo dà via libera e riprendiamo a navigare sul grande fiume.

Di pomeriggio, la nave attracca a Zaporozhy e da lì, in pulmino ci portano al villaggio dei cosacchi. Attraversiamo la città e da un lunghissimo ponte vediamo il “trono di Caterina” su un’isoletta del fiume. Seduta su quel trono, la grande zarina riceveva l’omaggio dei cosacchi che non permettevano a nessuno, fosse pure l’imperatrice di tutte le Russie, di entrare nel loro territorio. Tempi passati! Ora i turisti entrano bene accetti specie se comprano nelle varie bancarelle i soliti souvenir. Lo spettacolo dei cosacchi è piacevole ma niente che non si sia visto nei vari circhi, anche se è sempre emozionante ammirare la bravura di questi cavalieri.

 


Il viaggio, ormai, volge al termine e ci aspetta la classica serata del Comandante.
Qualche parola bisogna pur spenderla su queste serate che incombono inesorabili su tutti i croceristi, fluviali o marini. Sulle grandi navi da crociera, la festa del comandante è più coreografica: i passeggeri vengono messi in fila e ogni coppia fa la rituale foto col comandante sorridente e cordiale ed è l’unica cosa gratis che si abbia a bordo (mi riferisco alla foto ovviamente non al comandante! ). Le signore sfoggiano toilettes scollate e luccicanti, i signori sfoggiano tutta la gamma dagli smoking con giacca anche bianca che li fa confondere con i camerieri ai completi tirolesi con relativi calzoni al ginocchio e cappellaccio con penna e ciuffo. I camerieri, alla fine della cena particolarmente ricca e curata sfilano con torte e fiaccole scoppiettanti.
Sulle navi fluviali, il rito è molto più semplice e si va dalla serata rievocante “Felix Austria” della motonave M/N “Mozart” detta “La regina dei fiumi” per la sua raffinatissima eleganza, con il personale di bordo in costumi settecenteschi e naturalmente musiche di Strauss e Mozart al minimalismo della M. Koshevoj; lo spazio è ristretto, foto di gruppo neanche a parlarne, lo spumante magari quello russo sembra sconosciuto e quindi si brinda con l’immancabile vodka (questa si a 40°), tartine con briciole di caviale e altre con striscioline di salmone, qualche ricciolo di gambero di fiume. Niente di particolare ma almeno per una sera non c’è la solita insalata e minestra.

Ma quello che non manca mai sulle navi che percorrono fiumi russi è il dopo cena della sera del comandante cioè il terrificante spettacolo che i croceristi devono offrire; nessun gruppo può evitarlo e meno di tutti quello italiano perché è notorio, gli italiani cantano. Devono cantare, sennò che italiani sarebbero? La nostra impagabile Ludmila non ammetteva fughe, non poteva fare cattiva figura e anche se eravamo soltanto in sei, dovevamo tenere alto il nome dell’Italia. Ma, se le due coppie di italiani erano si titubanti ma , tutto sommato, disposti a sacrificarsi, il signore di Ivrea ed io non intendevamo cedere. E allora che pensa Ludmila? Mi invita a recitare qualche poesia o raccontare qualche aneddoto, una storiella o… insomma qualsiasi cosa. Messa alle strette, rifletto che in fondo ho insegnato per tanti anni e qualche cosa potrò raccontare.
Così, d’accordo con i miei compagni di viaggio, con Ludmila e le altre interpreti,quella sera mi esibisco. Dicendo, anzi scandendo le parole affinché possa capirmi chi mastica un po’ l’italiano esordisco presentandomi come nativa di un’isola ricca di storie, di leggende, di arte e racconto del mito di Aci e Galatea. Mi rendo subito conto che i turisti – anche quelli tedeschi sempre così irridenti nei nostri confronti – mi seguono con crescente interesse e addirittura applaudono quando Ludmila dice che racconterò un’altra storia: la leggenda di Empedocle e del suo zoccolo che il Mongibello rivomitò fuori. Gli applausi sono veramente scroscianti ma la cosa più sbalorditiva è stata la reazione del giorno dopo. Due signori olandesi mi avvicinarono per congratularsi, un croato mi disse: - Bravissima, voglio visitare la Sicilia – e tutti quei tedeschi che fino ad allora ci avevano snobbato, quel giorno, l’ultimo della crociera, quando mi incontravano mi salutavano sorridendo compiaciuti.
Per una sera ero stata una star e avevo tenuto alto il nome dell’Italia ma anche della Sicilia.

La crociera volge al termine. L’ultima tappa è Kiev, anch’essa immessa nel verde, per le strade sciamano giovani ormai omologati nel vestire e nel comportarsi ai loro coetanei europei, americani eppure asiatici se non fosse per l’inconfondibile oro dei capelli. Molti sono in gita scolastica sui battelli, sventolando allegramente il giallo-verde della loro bandiera. Dal ponte della motonave, vedo partire a scaglioni i passeggeri, i croati, gli olandesi i numerosissimi tedeschi. Restiamo solo in tre italiani a partire per ultimi e ne approfitto per riempire gli occhi della visione del fiume. Forse è l’ultimo che navigo e una grande nostalgia mi assale. Anche se la nave e i vari servizi di bordo sono stati i peggiori che io abbia trovato, il fiume non mi ha deluso. Magnifico, maestoso, silenzioso mi ha dato un addio che non dimenticherò.