Elogio della gerontocrazia
La
stampa estera ha recentemente bollato l’Italia di essere un paese in
declino dove domina una classe politica obsoleta. Non è facile smentire
questa impietosa disamina se si riflette all’età dei nostri governanti,
dal Presidente della Repubblica all’ultimo dei ministri, tutti
abbondantemente oltre gli “anta”. Da almeno trent’anni ce li vediamo
davanti sempre gli stessi da Andreotti a Marini da Bertinotti a D’Alema,
da Fini a Mastella anno più anno meno sono sempre lì, inamovibili,
immarcescibili. Ma non è solo in politica che vediamo sempre le stesse
facce. Prendete ad esempio la tv: oltre a Buongiorno e Baudo si prevede
il gran rientro della Carrà e della Goggi e non è che Carlucci Bonolis,
siano volti nuovi. E nel teatro spopolano ancora i grandi “vecchi” da
Mauri a Borsetti, a Bonacelli, la Valeri, la Falk, la Guarnirei. Se il
cinema ha rinnovato attori e registi spesso sono fuochi di paglia che
durano “l’espace d’un matin” e non possono certo reggere il paragone con
i grandi del passato che duravano decenni e decenni e le cui opere e
interpretazioni rimangono nella storia del cinema italiano e non solo.
Ma mi domando: qual è il motivo di questa mancanza di
rinnovamento generazionale?
E’ colpa dei vecchi che non intendono farsi da parte? O
dei giovani che non hanno né forza né capacità per farsi avanti?
La risposta non è facile ma se si riflette a quelle
volte che i giovani si sono fatti avanti, c’è da rabbrividire perché
balzano subito due date: il ’22 e il ’68 con quello che ne seguì. Forse
è meglio che i giovani aspettino di diventare vecchi.
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