I Catanesi e il mare
Schiacciati
fra il mare e la montagna, i Catanesi, fino agli Anni ’60, hanno voltato
le spalle all’uno e all’altra. Dal mare fin dall’antichità, erano venuti
gli invasori, dai Greci e dai Romani fino agli anglo-americani nella II
Guerra mondiale: dalla montagna “idda” erano sempre arrivati, improvvisi
e distruttivi, eruzioni e terremoti. Per tutto ciò , i Catanesi meno
abbienti se ne stavano acquattati in città e, chi poteva, andava nelle
proprie campagne o villette nei paesi vicini come Trecastagni,
Viagrande, San Giovanni la Punta e i più audaci verso Zafferana, Milo,
Nicolosi. La mia famiglia apparteneva al ceto medio e mio padre
militare in carriera pur temendo il mare, portava la sua famiglia moglie
e tre figlie, alla Plaja, la spiaggia di cui pochi catanesi
approfittavano, rigorosamente, dal 15 luglio (Madonna del Carmine) al 15
Agosto (Assunzione di Maria, nonché Ferragosto). Per andare alla
Plaja, si prendeva il vaporetto che partiva da “sutta l’Archi dà Marina”
, quella obbrobriosa cintura di ferro che i catanesi avevano salutato
con gioia per non vedere il mare. Alla plaja, fino agli Anni ’50, i
lidi erano quattro: Ionio e Sport per le fasce più deboli
economicamente, Spampanato per i borghesi del ceto medio e il Lido
Azzurro per il ceti più alto. Rari i nobili che avevano le ville alla
Scogliera di Ognuna. Anche per la montagna – come i catanesi il loro
vulcano – vale lo stesso discorso; pochi audaci si avventuravano sui
suoi fianchi innevati. Si partiva alle prime ore del giorno con un
autobus da dietro la Villa Bellini fino al Rifugio Vitelli, per
rientrare in città alle ore sedici. Al ritorno c’era una lunga fermata a
Nicolosi, i più giovani ballavano in un locale del paese, i genitori
delle ragazze aspettavano in un bar a prendere il caffè o qualche
pasticcino. Ho scritto dei genitori delle ragazze perché , a quei tempi,
nessuna ragazza usciva da sola, men che meno, per salire in montagna!
Tornando al mare, oltre la Plaja, di cui ho già scritto, vi erano altre
alternative per chi non amava la sabbia. C’erano i bagni alla Stazione
per tutti coloro che non avevano soldi per l’ingresso ai lidi e così
pure la Scogliera di Ognuna. Ma per chi faceva bagni dal 15 luglio al 15
agosto, pagando l’ingresso e non amando la sabbia, c’era il “Lido
Longobardo” il mitico lido a Gardia Ognina che si raggiungeva col tram
n.2/7 . Situato lungo la scogliera, appunto, di Guardia Ognina lo si
raggiungeva attraverso lunghe passerelle in legno che scavalcavano la
ferrovia che passava proprio in quel tratto. Il lido, che prendeva il
nome dalla famiglia dei proprietari era diviso rigorosamente in tre
reparti, uguali nella forma, differenti per generi: donne, famiglie,
uomini soli. I tre reparti formavano grandi vasche chiuse da enormi
massi dal mare aperto a cui i più audaci andavano attraverso una
porticina. Lungo i fianchi delle “vasche” si stendevano le cabine
(tutto era in legno) che avevano nel pavimento una botola che si apriva
su una scaletta per scendere in mare – molto discretamente – e sotto
tutte le cabine era tesa una grossa corda per chi non sapesse nuotare,
cioè la maggioranza. Al Lido Longobardo è legata alla mia adolescenza
che ricordo con grande nostalgia. Imparai a nuotare in quella vasca
riservata alle donne in un momento che, ancora oggi alla soglia dei
novanta, rivedo con chiarezza: un giorno come tanti, entro in acqua
sicura delle zucche legate alla vita (non c’era altro per tenersi a
galla oltre alla scomoda tavola di legno) e comincio a nuotare. Ma, ad
un tratto, mi accorgo che le zucche si sono slacciate ed io ho nuotato
da sola, finalmente libera!
Ma il lido è legato al ricordo di due carissime
amiche nonché compagne di classe: Teresa, figlia dei proprietari ,
compagna anche di banco dal I° ginnasio (come allora si chiamava la scuola
media) fino al II° liceo classico e Fernanda, bellissima e riccioluta
dagli occhi di un verde sgargiante che aveva una madre lombarda e perciò
più libera come me da arcigne genitrici meridionali. Teresa! Come non
ricordare quella compagna di banco per lunghi anni che diede la
possibilità a me e a Fernanda di potere continuare a fare bagni fino
all’inizio dell’anno scolastico – allora iniziava il I° ottobre – e tutte
e tre sole sbuzzavamo felici ridendo e scherzando. Il futuro era
lontano ma lo sognavamo roseo e, comunque, sempre unite fra noi.
A questo punto apro una parentesi legato al mio
vissuto personale. Un giorno nuotavo nella vasca insieme a Fernanda mentre
le nostre due madri, la mia veneta l’altra lombarda, sferruzzavano sedute
nella terrazzina scambiandosi ricette culinarie e sparlando delle altre
signore. Fernanda ed io ci scambiammo uno sguardo di intesa e una
bracciata dietro l’altra superiamo quella mitica porta che separava la
vasca dal mare aperto e via verso la libertà. A distanza di quasi un
secolo ancora mi ritorna nei sogni quel momento di intensa felicità mai
più provata così sconvolgente. Fernanda non c’è più. Se ne è andata
ancora giovane e bellissima stroncata da un male incurabile.
Chiusa così questa lunga parentesi, riprendo il
discorso dei Catanesi col mare e la montagna. Finita la guerra, negli
Anni ’60 esplode il boon economico: la città è tutta un cantiere si
costruiscono grattacieli spensieratamente ignorando che Catania è città
soggetta a terremoti e si allargano le periferie e, infine, si scopre il
mare. I catanesi non si trasformano in delfini e sirene ma vanno al mare
per moda, per prendere il sole e sfoggiare la tintarella e così la Plaja
si arricchisce di stabilimenti balneari che stravolgono il litorale. E se
la Plaja rimane la spiaggia più gettonata, al nord nascono le “Grotte di
Ulisse” e, per la “Catania bene” il Lido dei Ciclopi, vero gioiello
naturale che vede anche serate indimenticabili.
Il Lido Longobardo resiste ancora per parecchi anni
ma , morti i titolari piano piano perde quella particolarità che lo
rendeva unico nel panorama della città. E la montagna? “Idda aspetta”.
Ma anche essa sarà scoperta dai catanesi che si distingueranno, almeno per
uno o due decenni in chi scopre il piacere di sciare e chi vi sale per la
“digestione”. Non ridete, per favore. Per molti anni, tanti catanesi –
dopo abbondanti libagioni specie dopo le feste natalizie e pasquali,
andavano in montagna convinti che l’aria montana aiutasse la digestione.
Ma non perdevano tempo a indossare indumenti adatti e si potevano ammirare
signore in tacchi alti e signori con giacche sportive. Ormai siamo
entrati nel 2000, per i catanesi dal mare arrivano migranti (sempre
invasori sono!) e la montagna appare come un vecchio nonno che talvolta
sbuffa, vomita fuoco ma, tutto sommato, è solo un vecchio brontolone. E
sperando che non si risvegli di cattivo umore , saluto i miei pazienti
lettori.
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