Racconto    

 

 

La poltrona vuota

 

 

Sono stato, e ancora lo sono malgrado la tarda età, un frequentatore assiduo del teatro. Lirica, prosa, cabaret, musical mi hanno sempre visto in prima fila e nella mia città sono numerosi i teatri. Da scapolone impenitente, mi è sempre piaciuto passare le serate a teatro, dopo avere chiuso il mio studio di avvocato alle venti, né un minuto più né un minuto meno. Assistevo a tutti gli spettacoli che si svolgevano sulla scena ma mi incuriosiva pure quello che si svolgeva al di qua del palcoscenico.
Arrivavo sempre fra i primi e mi soffermavo ad osservare gli altri spettatori man mano che arrivavano. C’erano gli abbonati che ormai avevano fatto amicizia a furia di sedere sempre vicini e si salutavano calorosamente; quelli che non erano abbonati e venivano saltuariamente restavano un po’ in disparte. Gli spettacoli serali avevano un pubblico di una certa categoria sociale, medici, notai, avvocati, in genere professionisti che erano per altro molto rappresentati soprattutto alle “prime” dove le signore facevano sfoggio di eleganti toilettes e preziosi gioielli e i signori, tutti rigorosamente in scuro, erano i VIP della città e provincia. Alle pomeridiane, il pubblico era composto in gran parte da donne, single o vedove, per lo più professoresse in pensione o vicino ad essa. Durante gli intervalli, alla bouvette, sorseggiando un caffè o sgranocchiando un torroncino, ascoltavo brani di conversazione: l’argomento preferito dai signori era la politica, soprattutto locale, seguita dai risultati della squadra di calcio del cuore. Le signore si scambiavano ricette di cucina, narravano le ultime prodezze dei figli e dei nipoti, commentavano malignamente gli atteggiamenti o gli abiti di altre signore.


Frequentando così spesso i teatri, era logico che fossi abbonato ed avendo già due abbonamenti, uno ad un teatro cabaret ed uno per un teatro d’avanguardia, decisi un anno, parecchio tempo fa, di farne un terzo e precisamente per lo Stabile della mia città, dove per altro andavo già molto spesso. Temevo di non trovare posto ma fui fortunato: erano state disdette alcune poltrone e mi ritrovai così comodamente assiso in una poltrona di quarta fila, perciò né troppo vicina né troppo lontana dal palcoscenico. E all’alzarsi del sipario, nel primo spettacolo, mi resi conto che, almeno per quella volta ero stato proprio fortunato: la poltrona davanti a me era rimasta vuota. Così mi godetti lo spettacolo a piena visione. Pensavo che fosse un caso, ma anche la volta successiva la poltrona rimase vuota e anche al terzo spettacolo. Ma il fatto strano era che, mentre altre poltrone vuote delle prime file, ad inizio di spettacolo venivano furtivamente occupate da spettatori delle ultime file, quella dinanzi a me rimaneva sempre vuota. Mi ricordai così che, quando avevo fatto l’abbonamento, la cassiera, con uno strano sorriso mi aveva detto: - Ha proprio fortuna. In quel posto vedrà benissimo e nessuno la disturberà.


Sul momento non avevo dato importanza a quelle parole che ora mi tornavano in mente. Così guardai con attenzione quella poltrona sempre vuota. Da un lato, c’era una coppia di anziani, credo che lui fosse un notaio, mi pareva di conoscerlo di vista; dall’altro lato, dalla parte del corridoio sedeva un signore sui cinquant ‘anni, serio, solitario, non parlava con nessuno, non si alzava durante gli intervalli. Notai più volte che se qualcuno, in cerca di un posto migliore si avvicinava, lui, prontamente, rifiutava “è occupato” diceva in tono brusco. Alla fine mi disinteressai di lui, godendomi la mia poltrona e concludendo che, di sicuro, quel tale era uno zotico che non voleva nessuno accanto.


Poi, una sera, durante un intervallo incontrai un mio amico e chiacchierando del più e del meno si lamentò di avere una poltrona scomodissima alla penultima fila e faceva fatica a seguire lo spettacolo.
-Ma guarda! – Esclamai. – Sono in quarta fila e davanti a me c'è sempre una poltrona vuota. Perché non vieni? C’è un signore accanto che dice sempre che è occupata ma io non ci ho visto venire mai nessuno. Forse lo dice per stare più largo. Ma tu insisti e ti siedi.
Il mio amico fece una strana faccia: - Hai detto che è in terza fila? –Si – Feci io. – Perché? Non è buona? Ti assicuro che si vede benissimo.
- Lo credo. E’ che tu certamente non sai chi è quel signore.
- Perché? Chi è?
- E’ l’avvocato Grimaldi.
- E con ciò? Che ha diritto a due posti?
Il mio amico scosse la testa: - No poveraccio. E’ che quella poltrona lui la paga per sua moglie.
- Ma non è mai venuta!
- E non può più venire. E’ morta da tre anni.
-Morta?!
- Si, fu investita da un auto. Erano abbonati al teatro e non perdevano uno spettacolo. Lei era una donna bellissima, molto più giovane di lui che ne era innamorato pazzo. Quando successe la tragedia, fu come se in lui si fosse fermato l’orologio. Continua a venire, paga regolarmente l’abbonamento ed perché non fa sedere nessuno. Quel posto è di sua moglie. Quella poltrona per lui, non è vuota.

Sono passati molti anni da quella sera. Io continuo ad andare a teatro, occupo sempre la stessa poltrona e davanti ho sempre quella poltrona vuota. Aspetta ancora colei che non verrà mai più.