Correva
l’anno 1948. L’anno dell’attentato a Togliatti, anno della
vittoria della D.C. il 18 Aprile. Ma pure l’anno del primo – e per
molti anni ancora – l’unico sciopero studentesco. Da tre anni era
finita la guerra, si cercava disperatamente di tornare alla
normalità e la scuola ne doveva dare l’esempio. A gennaio di quell’anno,
il ministero della P.I. emanava il decreto che ristabiliva gli
esami di maturità come prima dello sconquasso bellico: per il
liceo classico, quattro prove scritte, orali di tutte le materie
“con riferimenti ai programmi degli ultimi due anni”. Il decreto fu
accolto come un fulmine a ciel sereno: ma come, fino all’anno
precedente, gli esami erano solo orali e soltanto sul programma
dell’ultimo anno e proprio ora, con loro maturandi fra pochi mesi,
venivano ripristinate le vecchie regole!
Non ricordo nelle altre città, né nelle altre scuole di Catania ma
al Cutelli scoppiò il finimondo. Il Cutelli, quell’anno, era
stato abbastanza disastrato. La vecchia sede di via Giordano Bruno
era stata dichiarata pericolante e il liceo era stato ospitato
presso la scuola elementare “M. Rapisardi” alla fine del viale della
Libertà (non era stato ancora prolungato e finiva davanti alle
“sciare”. Poi negli anni ’50, sorgerà il viale Vittorio Veneto). Ma
le aule erano insufficienti e si faceva scuola a giorni alterni e
soltanto per tre ore al giorno in doppi turni.
Per Marina, la liceale di cui ci occuperemo, era stato un anno
ancora più scalognato: era uscita da pochissimo da due brutte
esperienze che per una ragazza di diciassette anni – di quegli anni!
– rappresentavano un dramma. La classica prima delusione d’amore e
una grave malattia che aveva messo in pericolo la sua vita.
Sorvoliamo sulla delusione che non lasciò nessuna traccia non solo
sulla sua vita ma nemmeno nei mesi successivi e spendiamo poche
parole sulla sua malattia: una grave pleurite complicata da una
blanda forma di tifo. Quaranta giorni fra letto e convalescenza
l’avevano smagrita ancor più se si considera che le sue compagne
l’avevano da sempre soprannominata “spaghettino”. Quando rientrò a
scuola, a fine gennaio, pochi giorni prima del famigerato decreto,
era proprio un filo di spaghetto, per giunta spennacchiato dato che
per il tifo le erano caduti gran parte dei capelli.
Come tutti gli studenti, anche lei era stata colpita dal decreto,
anzi forse più degli altri giacchè aveva perso quasi due mesi di
lezioni ed era ancora debolissima al punto da scoppiare in pianto
appena veniva interrogata. Chissà perché…
Il clima – a scuola – era infiammato, c’erano discussioni
accese durante le ricreazioni, anche i professori erano stati presi
di sorpresa dal decreto, considerato anche che – per la particolare
situazione in cui si era venuto a trovare il Cutelli – nessun
professore era in grado di completare il programma. Così, mentre
allo Spedalieri, al Convitto Cutelli e negli altri pochi licei della
provincia tutto rimase nella calma, il Cutelli esplose. Cioè
entrò in sciopero.
Oggi questa parola non suscita alcuna impressione anzi è quasi una
prassi normale nella vita scolastica ma nel febbraio ’48 era una
cosa mai vista. Si, c’erano stati nel ’40 scioperi per “Nizza e
Savoia italiane” “Gibuti italiana” e altre simili amenità ma erano
manifestazioni pilotate dall’alto, dalle autorità fasciste. Quello
del Cutelli ( e, come poi venimmo a conoscenza, anche in altre città
italiane ) fu viceversa uno sciopero dal basso.
Quella mattina, recandosi a scuola Marina e le sue compagne si
trovarono dinanzi ad uno sbarramento degli studenti che gridavano
“sciopero, sciopero”. Premetto che la classe frequentata da Marina
era una delle due formata da solo alunne, quindi rigorosamente
femminile. Non c’era nessun rapporto fra studenti dei due sessi,
durante la ricreazione le ragazze restavano in classe se c’era
maltempo o nei corridoi mentre i ragazzi scendevano in cortile nelle
buone giornate o nei corridoi negli altri giorni. Al suono
dell’ultima campanella, prima uscivano le ragazze e dopo cinque
minuti i maschi. I gabinetti – divisi per sesso – erano ai lati
opposti dei corridoi. Per questo, le ragazze della terza E non
avevano mai avuto frequentazioni con i loro compagni, soltanto
qualcuna – considerata una poco di buono – aveva già il “fidanzato”
o come si diceva in gergo “il pisquano” (non chiedetemi il
significato, non l’ho mai saputo). Vedersi, quel mattino, un muro di
ragazzi che non faceva entrare nessuno, tranne i professori, e
pronto anche a mettere le mani addosso pur di bloccare l’ingresso,
fu uno choc per tutte le “cutelline”. Ma si ripresero subito, felici
di un insperato giorno di vacanza per una sacrosanta protesta.
Perché proprio loro dovevano cominciare a entrare nella normalità?
Cominciassero pure dal prossimo anno …
Che fare, dunque, di quel giorno libero? Per giunta, era una bella
giornata di febbraio, quel mese “mezzo dolce e mezzo amaro” e allora
perché non approfittarne per una bella passeggiata? Chi aveva il
“pisquano” se ne andò verso le sciare vicine, al riparo da occhi
indiscreti ma le “brave ragazze” scelsero la Villa Bellini. Marina,
Francesca, Lella, Adriana passeggiarono fra gli alberi, libri
sottobraccio, si sedettero nelle panchine, gettarono mollichine ai
maestosi cigni della Vasca centrale. Marina si sentiva rinascere
dopo la grave malattia, respirava a pieni polmoni, sentiva che le
forze le stavano tornando anche se sembrava ancora un pulcino
spennacchiato.
Ma quale fu la brutta sorpresa quando, l’indomani a scuola, le
ragazze della III E seppero che erano state soltanto loro a
scioperare! E si! Dopo che loro si erano allontanate, chi per
fare una passeggiata con le compagne o il suo “pisquano”, chi era
tornata tranquillamente a casa, i maschietti, proprio loro,
redarguiti dai professori erano entrati ubbidienti in classe.
Marina e le sue compagne furono rimproverate dai professori (tranne
da quello di italiano che si schierò dalla loro parte) e dal vice
preside che li trattò proprio male, quasi insultandole come ragazze
di strada, senza pudore né vergogna e minacciandole di non
ammetterle agli esami di maturità punendole con un cinque in
condotta. Solo la ferma opposizione del professore d’italiano evitò
loro la punizione ma lo smacco subito era stato grosso assai. Marina
si sentiva bruciare dentro, era stata ferita nel suo amor proprio e
mentre le sue compagne sembravano accettare supinamente quello che
era successo, lei non si dava pace. Rimuginava vendette, sognava di
entrare in una classe tutta maschile e insultarli, trattarli da
vigliacchi, traditori, ecc. ecc. Ma no avrebbe mai avuto il
coraggio, lei proprio che non aveva rivolto la parola ad un compagno
di scuola. Si, c’era stato quel flirt ormai finito ma quella era
tutta un’altra storia, anche se quello era stato pure uno smacco che
ancora le bruciava.
Ma il destino le offrì la vendetta su un piatto d’argento. Pochi
giorni dopo, si ripetè la stessa scena del giorno dello sciopero. I
maschi, tutti schierati dinanzi all’ingresso principale, impedivano
l’ingresso gridando “sciopero, sciopero”.
Marina si sentì avvampare di collera, stavolta non l’avrebbe fermata
nessuno. Era insieme alle sue amiche più intime Francesca e Lella e
attorno aveva le altre sue compagne.
“Che fate? – le apostrofò con decisione Marina – io entro stavolta.
Non mi faccio fregare di nuovo.” Francesca e Lella si schierarono
con lei ma le compagne protestarono. “Non ci faranno entrare. Hanno
ragione. Perché deve cominciare da quest’anno il ritorno alla
normalità? Non ce la faremo a preparare tutti i programmi.” “Se ce
la faccio io – replicava Marina - io che sono stata due mesi assente
per malattia, figuriamoci tutti questi marcantonio. Comunque io
entro, voi fate come volete.”
Con decisione, prendendosi per braccio le tre ragazze forzarono a
spintoni, gomitate e piccoli calci, il muro dei ragazzi. Ed
entrarono a testa alta nell’istituto vuoto. Vedendole entrare anche
le loro compagne, pur protestando contro di loro, entrarono. Ed
entrando la III E anche le altre classi furono costrette ad entrare.
Non vi dirò per filo e per segno quello che successe dentro la
classe e nei corridoi! Grida contro le tre ribelli, insulti – il più
garbato era di cretine, minacce con pugni chiusi ma Marina non si
pentiva così come non si pentivano le sue due amiche. Ma era lei
l’anima della rivolta contro i compagni che le avevano tradite la
volta precedente.
La cosa non finì quel giorno.
Sapendo che l’indomani i ragazzi si sarebbero preparati meglio e non
si sarebbero fatti sorprendere dal loro atteggiamento, Marina
preparò il piano con Francesca e Lella. Sarebbero entrate
dall’ingresso secondario, dato che i ragazzi le avrebbero aspettate
come quel giorno dinanzi all’ingresso principale in viale della
Libertà.
Così l’indomani un po’ prima del solito, determinate e sicure ma
guardinghe arrivarono da una traversa che sbucava diritta verso
l’ingresso secondario. Si guardarono intorno. Nessuno. Certamente
erano tutti schierati sul viale. Stavano tirando un sospiro di
sollievo quando sentirono un grido: - Eccole, eccole, stanno
arrivando, stanno entrando da là. Un ragazzetto le aveva avvistate e
aveva dato l’allarme.
Le ragazze si guardarono in faccia. Un attimo. “Corriamo” gridò
Marina e prese a correre seguita dalle amiche mentre dal viale si
precipitavano i ragazzi.
Ma restarono scornati: le tre “ribelli” ce l’avevano fatta ad
entrare correndo dentro il portoncino.
Entrando loro, entrò la III E.
Entrando la III E, entrò tutto il Cutelli.
La situazione era diventata molto tesa. Le compagne di classe erano
inviperite contro di loro perché – secondo loro – avevano fatto la
figura delle “cretinette”. “Cretinette siete voi – ribatteva Marina
sempre più battagliera – dopo che “quelli” ci hanno fatto passare
per ragazzacce e loro sono entrati , ora vogliono ancora vincere
loro. Stanno freschi! Non mi prendono più per i fondelli, non sono
una schiavetta ai loro ordini. Tornate a casa le tre “ribelli”, si
prepararono ad affrontare il giorno dopo, dato che ancora
l’agitazione era viva anche nel resto d’Italia e sicuramente
stavolta i compagni si sarebbero schierati d’avanti ai due ingressi.
Ma le tre erano sempre più decise, esaltate di essere sole contro
tutto l’istituto, si sentivano quasi delle eroine. Decisero di
andare separatamente da punti opposti ma di entrare ad ogni costo. A
costo pure di fare a pugni. Non che fossero erculee erano ragazze di
diciassette anni, magre come lo erano a quei tempi tutte le ragazze
sopravvissute alla guerra, alla fame, alle ristrettezze. Marina
oltretutto non si era del tutto ripresa dalla lunga malattia che
l’aveva inchiodata a letto per oltre un mese. Ma erano determinate e
non volevano darla vinta ai “maschi”.
Venne la mattina dopo. Il cielo era cupo, prometteva pioggia. Le
ragazze presero gli ombrelli e filarono via. Man mano che si
avvicinavano alla scuola, si allontanarono fra loro, prendendo
traverse collaterali. Ciascuna era sola con se stessa ma tutte erano
decise. Marina li vide da lontano, malgrado fosse miope. Vide i
compagni sparpagliati per tutte le strade d’accesso alla scuola,
pronti ad intercettarle e fermarle.
-Eccola, eccone una – il grido echeggiò da un punto all’altro
chiamando a raccolta i ragazzi.
- E’ qui –
- No, è qui –
- Là, ce n’è un’altra
Marina affrettò il passo, ormai era stata scoperta. E si preparò.
Impugnò con forza l’ombrello e, appena i compagni le vennero
correndo incontro, cominciò a farlo roteare con forza. I ragazzi
furono disorientati. Non si aspettavano quella reazione.
Indietreggiarono man mano che Marina avanzava sempre roteando
l’ombrello. “Ma è pazza questa”. Erano sbalorditi i “maschietti” .
Una ragazza che non si faceva dominare, che reagiva, che li
minacciava! Ma quando mai si era vista una cosa simile!
Marina raggiunse il portone e così pure Francesca e Lella.
Entrando loro, entrò la III E.
Entrando la III E, entrò tutto il Cutelli. Lo sciopero era finito.
Si rientrava nella normalità.
Marina aveva vinto la sua battaglia. Per sua fortuna, non seppe
allora che era la prima della sua vita, la prima di altre battaglie.
E come tutte le battaglie, alcune le vinse altre le perdette.
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