Venezia d'inverno
Venezia d’inverno. Nebbia, acqua alta ma anche improvviso sole. Un sole
che sciabola squarci di oro sulle facciate dei vetusti palazzi che si
pavoneggiano sul Canal Grande, sulle acque della laguna, che si
insinua fra le calli i rii. I turisti sono pochi e si disperdono sempre
sui soliti siti turistici o sono seduti nei numerosi caffè e ristoranti
di piazza San Marco, incuranti delle sedie fradice di poggia, felici di
godersi il sole apparso dopo ore di pioggia abbondante. Ma conosco molto
bene la Venezia turistica per cui, per questo mio viaggio, ho scelto la
Venezia meno nota.
Ed eccomi ad aggirarmi tra calle e campielli, a salire e scendere le
infinite scale sui rii fino a sentirmi dolere i muscoli delle gambe;
eccomi a ritrovare la Venezia di Visconti immortalata in “Senso” a
respirare quell’atmosfera fra onirismo e disfacimento. Eccomi a visitare
alcuni fra i più belli, ma anche meno visitati, palazzi che racchiudono
come scrigni preziosi, ricche collezioni. Da Palazzo Cini con le
sue numerose collezioni raccolte dal conte Vittorio Cini nel cui
ingresso spicca uno stupendo busto della figlia Yana opera di
Francesco Messina alla Libreria Sansoviniana o Marciana ricca
di rari volumi e impreziosita da dipinti di Veronese, Tiziano e
Tintoretto.
Da
Ca’ Rezzonico che ospita mobili e dipinti del ‘700 veneziano a
Palazzo Venier dei Leoni con la ricchissima collezione Peggy
Guggenheim che strabilia quanti ammirano la pittura della prima metà
del ‘900 che personalmente non amo ma dove ho trovato uno Chagall
dinanzi al quale mi sono soffermata a lungo.
Una breve visita a Palazzo Mocenigo per ammirare costumi e tessuti del
‘700 eccomi a Ca’Pesaro dove ho provato un’intensa emozione al terzo
piano che offre una straordinaria raccolta di oggetti orientali: armi,
piatti, vasi, stoffe, figure del teatro delle ombre. Sono rimasta
letteralmente incantata dalla varietà e bellezza di ogni singolo pezzo.
Le ultime due visite sono state la Scuola Grande dei Carmini dove
l’archivio è un vero capolavoro ligneo e Palazzo Zenobio di proprietà
dei Padri Armeni Mechitaristi che offre al suo interno un sorprendente
giardino.
Ma Venezia non è solo questo splendore, dietro il quale si nasconde il
lato oscuro: è una città sporca, non solo quella turistica,
comprensibile ma egualmente negativa, ma anche nelle calli e campielli e
rii ignorate dal turismo. Cumuli di immondizia, sacchetti con rifiuti
appesi ai ganci delle finestre a piano terra e poi i piccioni… Dio mio,
una vera invasione non solo a Piazza San Marco dove formano un
interrotto tappeto e dove stolidi turisti continuano a foraggiarli ma in
tutta la città, imbrattando monumenti delicati, balconi dalle colonnine
ritorte, marmi e sedili. E solo a Venezia Tomas Mann poteva ambientare
il suo romanzo: un’area di disfacimento aleggia come un pulviscolo sulla
città; saranno le gondole nere, funeree, sarà il colore plumbeo della
laguna intossicata dai rifiuti urbani e industriali, saranno le tante
finestre chiuse dei palazzi abbandonati dagli abitanti trasferitisi
altrove ma il sole che indorava i palazzi di Canal Grande alla mia
partenza non riusciva a ridare vita a quel quadro che conservava la
bellezza di una natura morta.
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