Intervista a Mons. Bommarito

 

Con una intervista cominciammo 14 anni fa, con una intervista chiudiamo. Nell’ottobre del 1988, a pochi giorni dal suo insediamento a Catania, l’Arcivescovo Mons. Luigi Bommarito ci rilasciò in esclusiva alcune anticipazioni sul suo programma pastorale, mettendo l’accento soprattutto sulla drammatica situazione della città etnea, lacerata non solo dall’antico problema della disoccupazione ma anche da una disamministrazione cronica e soprattutto da una criminalità arrogante, che quasi quotidianamente insanguinava le strade di Catania e di alcuni centri della provincia.

Ora che Mons. Bommarito è giunto al termine del suo mandato episcopale nella diocesi etnea abbiamo cercato di fare con lui un bilancio di questi 14 intensi anni di sua permanenza a Catania. Gli chiediamo: quando Lei giunse a Catania, 14 anni fa, questa città viveva in piena emergenza criminalità e si dibatteva fra amministrazioni instabili e lunghi vuoti di potere. Come giudica la Catania che oggi Lei lascia?

Quando arrivai a Catania non sapevo della città se non quanto i giornali continuamente scrivevano, che cioè era un covo della criminalità, una trincea avanzata della mafia, un luogo dove dominavano gli interessi mafiosi. Sono arrivato e ho constatato che quello che scrivevano i giornali era verissimo ma anche che Catania non era tutta mafia, che era intelligenza, bontà, generosità, laboriosità. Più andavo conoscendo la città e la diocesi, più andavo approfondendo le problematiche pastorali delle parrocchie e più mi rendevo conto che c’erano le potenzialità per superare questa difficile, se non tragica, situazione. Un giorno sì e uno no, c’era un morto ammazzato, e quando per alcuni giorni non ce n’erano, poi ne arrivavano tre in una volta sola. Ho capito che Catania aveva le potenzialità per vincere queste grandi difficoltà. Un cumulo di circostanze, dovute alle pubbliche amministrazioni che diventavano via via più stabili, alla magistratura che diventava sempre più presente e puntuale, alle forze dell’ordine che non demordevano e anche alle nostre parrocchie, al processo di rieducazione delle coscienze - perché la mafia oltre ad essere un fenomeno di violenza è un fenomeno culturale che si vince con la rieducazione, con la legalità da far capire e da far assimilare lentamente ma costantemente… - , questo cumulo di circostanze ha fatto sì che le cose cambiassero. Credo che la Catania di oggi sia ben lontana dalla Catania di allora. 14 anni hanno infatti creato una situazione estremamente positiva. Questo, naturalmente, non significa che non ci siano problemi da risolvere o ingiustizie da riparare o che il fenomeno della disoccupazione che ancora angoscia tantissime famiglie non debba essere tenuto presente da parte di tutte le autorità o che non ci siano quartieri che vadano attenzionati al massimo e dove la mafia ancora recluta nuove forze… Significa solo che si può guardare all’avvenire con serena speranza purché non si abbassi mai la guardia.

Anche la Diocesi che Lei trovava nel 1988 era molto diversa. Come la lascia adesso?

Questo è un giudizio che non posso dare io…Credo che si siano realizzate tante piccole cose. Io amo dire che sono stato spettatore di quanto qui è stato fatto da sacerdoti impegnati e laboriosi, da parrocchie veramente "avanguardiste" anche nelle metodologie pastorali, da gruppi ecclesiali quanto mai fervorosi, da religiose e religiosi estremamente attenti a seguire il Vangelo nelle scuole, nelle opere loro affidate, nelle comunità ecclesiali dove sono impegnati. Ho trovato una diocesi molto laboriosa e sacerdoti capaci di grandi realizzazioni per il Regno di Dio, delle quali è inutile fare l’elenco ma di cui sono stato testimone ammirato e gioioso, perché tutto quello che si fa in servizio nel cammino del Vangelo è per noi sacerdoti sempre motivo di gratitudine al Signore e a quelli che si impegnano, ed è motivo di consolazione.

Nella relazione sulla Diocesi che qualche mese fa ha inviato alla Santa Sede Lei ha citato i punti salienti e le conquiste più significative della Chiesa catanese. Tenendo presente questo documento, un bilancio di questi 14 anni si può fare?

Un bilancio si può fare ma preferirei che lo facessero altri, persone serene, obiettive - e ce ne sono tante -, che potrebbero essere interpellate per sapere se la Diocesi ha camminato e ha raggiunto qualche traguardo. Io credo che Mons. Domenico Picchinenna, mio predecessore, che aveva avuto il compito di creare comunione e solidarietà e fraternità, questo compito l’ha svolto in maniera esimia ed esemplare. Io gli sono profondamente grato e gliene sarò sempre perché egli continua a sostenere, con la sua preghiera e con le sofferenze tipiche dell’età avanzata, il cammino di questa nostra Chiesa catanese.

C’è un episodio del suo episcopato catanese che Lei ricorda con particolare affetto e commozione?

Sono tanti i momenti che ricordo. Per esempio, sono sempre stati esaltanti le giornate delle ordinazioni sacerdotali e diaconali e soprattutto la consacrazione episcopale del mio Vicario generale Mons. Salvatore Pappalardo, chiamato a reggere la Chiesa di Nicosia. La visita pastorale del Papa, poi, è stata un avvenimento bellissimo, anche perché si è svolta con qualche mese di ritardo rispetto a quando doveva avvenire, e questo ci ha aiutato molto. E’ proprio vero che la Provvidenza scrive dritto su righe storte. Infatti, grazie a quel ritardo abbiamo avuto il tempo di organizzarci meglio, abbiamo dovuto ridurre i programmi predisposti prima e non siamo stati travolti dalla situazione. Ho capito in quella occasione come Catania sia come l’Etna, che pare tranquillo e calmo e ad un certo punto erutta con tutta la sua potenza. Questa città, quando è presa dall’entusiasmo, diventa travolgente. Simpaticamente travolgente. Con il Papa è stato così.

Una domanda che si pongono in molti: adesso cosa farà Mons. Bommarito? Resterà a Catania, tornerà al suo paese o…?

Intanto farò il Vescovo. Essere Vescovi emeriti non significa essere ex-preti. Continuerò a seguire il Signore là dove potrò fare un po’ di bene. Quotidianamente mi piovono inviti un po’ da tutte le parti, da Catanzaro, da Roma, da Genova, da Lampedusa…Sono tantissime le manifestazioni d’affetto che mi stanno arrivando. Naturalmente, dovrò fare una selezione, anche perché non sono più giovanissimo. Cercherò di servire al meglio il cammino del Regno là dove la Provvidenza mi chiama. Sono molti anche quelli che mi hanno pressantemente invitato a rimanere a Catania. Certamente per un po’ tornerò nella casa paterna, a Terrasini. Poi vedremo. Mi devo dare a Dio, adesso. Certo avrò più tempo per studiare, per approfondire, per riflettere.

Il 6 agosto si insedierà il nuovo Arcivescovo, Mons. Salvatore Gristina. Che consigli si sente di dare al suo giovane successore?

No, niente consigli. Troverà dei problemi qui, ma anche tante ricchezze e tante potenzialità. E saprà certamente come affrontare gli uni e come valorizzare le altre. E’ giovane, è preparato, ha maturato una bella esperienza come sacerdote e parroco prima, e come Vicario e Vescovo ausiliare della diocesi di Palermo dopo, nonché come Pastore della Chiesa di Acireale. E poi è affabile e sensibile. Mi creda: l’avvicendamento alla Chiesa fa solo bene.

 

Salvo Nibali