Parliamo de “Il birraio di Preston” di Andrea Camilleri in scena al Verga per lo Stabile di Catania, adattamento e regia di Giuseppe Dipasquale, in cui, privilegiando lo snodo del racconto umoristico – come ulteriore risorsa dello spettacolo – non si poteva non tenerne conto. Tutti conosciamo le doti di affabulatore di un narratore che sembra far rivivere l’oralità del racconto – come nel “cuntu” – in cui si innesta una lingua creata per la bisogna dove è possibile giocare e divertire l’interlocutore. E in ciò consiste la “teatralità” del racconto di Camilleri che però sulla scena può mantenere la sua piacevole leggerezza se è rappresentata nei tempi scenici comico-umoristici di cui sopra. La cosiddetta lingua siciliana di Camilleri sfrutta – fra l’altro – quanto i siciliani mettono nell’intercalare fra una parola e l’altra: una specie di tessuto connettivo fatto di parole che attingono alla sfera sessuale che se – al solito – si sanno raccontare e sono indispensabili alla economia del racconto scenico risultano a volte pur nel loro eccesso – piacevolmente comici.
Ma affrontiamo il contenuto de “Il birraio di Preston” una tragi-commedia dai risvolti paradossali che nasce dalla banalità di un ricordo frainteso all’origine, un errore conservato nella memoria come un fatto specifico: il prefetto di Montelusa, un fiorentino cocciuto e ottuso interpretato da Gianpaolo Poddighe, impone di rappresentare a Vigata al Teatro civico “Re D’Italia” l’opera lirica di tal Ricci “Il birraio di Preston” nella convinzione che alla prima di quell’opera al Teatro La Pergola di Firenze vi avesse conosciuto la moglie, la quale, rinfrescando l’ormai spenta memoria del marito, precisa che lei non era presente alla prima ma assistette – dopo giorni – allo spettacolo “Clementina”. E il marito aveva scatenato una rivoluzione assurda, una vera guerra civile con incendio e tre morti in scena per colpa della improbabile opera di Luigi Ricci. Per cui essere governati in Sicilia in quel 1877 significava avere un Potere che ignorava le esigenze di una popolazione e il suo malessere sociale. Ma a Camilleri che ama il gusto del paradosso e della sorpresa creando altresì una poetica dello stupore in cui si racconta il senso del ridicolo che investe il personaggio e che è attratto dalle situazioni incandescenti, interessa e si serve di una lingua dai toni e colori caldi con cui egli può scorazzare come un bambino malizioso che trova la sua giustificazione nella risata. Altro elemento è l’ironia dell’autore che gli consente di avvicinarsi ai fatti da narrare; è il suo primo approccio che poi si sviluppa nel paradosso, nel linguaggio sapido del sesso, nella conflittualità che però, alla fine, si risolve e si dissolve nella risata. O, anche, quando rivisita un giudizio di Sciascia sulla vedova riaffermando nella creazione del personaggio di Agatina e Concetta Riguccia interpretato efficacemente con malcelato candore da Mariella Lo Giudice che essa è “l’animale che tiene il becco sottoterra”.
La nazione durante la sua formazione affrontò l’unità di un popolo che tale non era per ragioni storiche perché – come si sa – fatta l’Italia bisognava fare gli italiani. Questo sfavillio di suoni diventa sfavillio di colori nei costumi dei signori e in quelli dei popolani anche quando si riduce a semplice biancheria intima ben disegnati da Gemma Spina come le scene di Antonio Fiorentino essenziali e funzionali, cangianti per periodi ed avvenimenti ben illuminati dalle luci di Franco Buzzanca che sa creare le giuste e suggestive atmosfere e con le felici annotazioni musicali di Massimiliano Pace che sa miscelare la propria musica a quella ottocentesca che caratterizzò l’epoca. Ma la ricchezza dello spettacolo è nel cast: da Pino Micol che si muove con autorità fra ironia e grottesco dominando in lungo e in largo la scena a Mariella Lo Giudice che sa esprimere con consapevole femminilità i sentimenti di una donna che ha fame di amore a Giulio Brogi che scolpisce il ruolo del delegato, a Marcello Per racchio dal fisico apparentemente bonario ma dal comportamento ferino a Gianpaolo Poddighe che ha costruito un bel ritratto dell’uomo di potere in preda alle proprie debolezze a Mimmo Mignemi che disegna con sicurezza e in maniera incisiva il carattere dei suoi personaggi ad Angelo Tosto che dà autenticità e voce ai suoi personaggi in maniera simpatica e suadente. Su questo registro si muovono Margherita Mignemi, Ester Anzalone, Gianpaolo Romania, Paolo Mirabella, Cosimo Coltraro, Sergio Seminara, Chiara Cimmino, Alberto Bonaria, Stefania Nicolosi e Gianluca Ridolfo.
Applausi durante e alla fine dello spettacolo intensi e calorosi.
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